mercoledì 6 novembre 2013

TAKE FIVE sarà in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma!

In occasione della presentazione di Take Five all'8. Festival Internazionale del Film di Roma giovedì 14 novembre all'Auditorium Parco della Musica, vi riproponiamo l'intervista fatta al regista Guido Lombardi durante le riprese, in cui ci parla dei piani sequenza, delle macchine del set, delle ambientazioni, dei ruoli dei 5 protagonisti (Peppe Lanzetta, Salvatore Striano, Salvatore Ruocco, Carmine Paternoster, Gaetano Di Vaio) e della poesia che può nascere sul set...
L'intervista è a cura di Roberta Serretiello.


lunedì 6 maggio 2013

Interviste dietro le quinte: Maica Rotondo, scenografa



Tra le stanze di Take Five, ecco l’intervista alla scenografa del film, Maica Rotondo.

 

Quali sono stati i momenti di maggiore stress durante il corso delle riprese?

Me ne ricordo due in particolare. Il primo è stata la preparazione del set fotografico, lo studio di Sasà Striano. Dovevamo essere pronti per una data precisa e avevamo tempi stretti e poca disponibilità economica.  In quel caso abbiamo dovuto fare tutto da capo: dalla pulizia alla ristrutturazione degli ambienti concludendo con l’arredamento, i dettagli, gli oggetti che raccontassero il proprietario dello studio. Il secondo momento è stata la preparazione del caveau della banca dove si sono ripetute le stesse dinamiche ma con una problematica in più. Infatti, per quanto riguarda lo studio, Guido l’aveva visto già durante la preparazione. Invece, per il caveau ciò non è potuto succedere e quindi il giorno delle riprese ero molto tesa perché non sapevo se gli sarebbe piaciuto e se corrispondeva a ciò che aveva immaginato. Per fortuna è andata bene.

C’è qualche scena cui sei legata maggiormente? 

La scena nella banca centrale nella sala neorinascimentale del Palazzo della Borsa mi ha emozionata particolarmente, anche per il tipo di inquadrature scelte da Guido. Non mi immaginavo che sarebbe venuta così. Anche la scena al Lanificio, quando i cinque protagonisti scavano il buco, o l’incontro clandestino di box. In realtà è insolito dare tanta importanza alle location e alla scenografia in un film a basso costo e quindi la soddisfazione è stata molta soprattutto per le scene girate negli ambienti più problematici.

Come ti sei trovata a lavorare con la troupe? 

Mi sono trovata bene. Molti già li conoscevo. Abbiamo fatto insieme Là-bas e quindi c’era già affiatamento. Con Guido, l’aiuto Sergio Panariello, il direttore della fotografia Francesca Amitrano, e con la costumista Francesca Balzano siamo riusciti a coordinarci tra mille difficoltà, location complicate e tempi serrati sui quali la produzione ci ha marcato stretto. L’unico difetto è che forse in alcuni momenti eravamo in troppi sul set e questo credo sia da evitare perché fa calare la concentrazione. Tuttavia c’è stata sicuramente una buona comunicazione tra i vari reparti. 

Com'era il tuo rapporto con gli attori?
 
Lo scenografo non ha un rapporto così diretto con gli attori rispetto a quello che può avere regia o costumi. Però è stato bello perché loro si sono emozionati molto quando hanno visto gli spazi e la scenografia. Per esempio, Peppe Lanzetta è rimasto stupefatto dalla ricostruzione dello studio fotografico e subito si è adattato sentendosi nel posto giusto. Questo mi ha dato soddisfazione. È stato piacevole.

E con il regista?
 
La bellezza del rapporto con Guido è che sta crescendo. In passato abbiamo avuto dei problemi in Là-bas, legati soprattutto alla comunicazione: a me non arrivava bene ciò che lui desiderava e io non riuscivo a spiegargli i miei problemi. Per Take Five, invece, ho cercato di aggirare l’ostacolo. Ci siamo chiariti. Gli ho detto di fidarsi di me perché con la fiducia reciproca possiamo crescere. Dopo quel chiarimento c’è stato maggior affiatamento ed è andata meglio, anche se non è stato semplice. Bisogna considerare che Guido ha la caratteristica che all’ultimo momento cambia idea, però tendo di accontentarlo fino all’ultimo.

C’è qualche episodio del dietro le quinte che vuoi raccontarci?
 
Quando dovevamo girare nel caveau della banca c’era molta tensione. Eravamo a metà del film. La produzione era tesissima perché avevamo accumulato qualche ritardo nel corso delle giornate passate. Arrivati sul set a Piazza Telematica, Guido ed io concordammo che l’ambiente era troppo asettico e pensammo di aggiungere un quadro contemporaneo. Mentre ho cominciato prepararlo gli altri stavano sistemando le attrezzature. Improvvisamente dalla produzione ci fu un richiamo tanto forte quando ingiustificato nei miei confronti, come se fossi in ritardo di chissà quanto mentre il set era pronto. Io ho cercato di mantenere la calma. Anzi, la violenza della discussione mi ha ispirato. Così, sul supporto di una quinta di riserva di tre metri per uno ho realizzato uno spizzo rosso sul fondo bianco. È stato il quadro che mancava. In realtà una dedica per il produttore esecutivo che mi ha rimproverato. Lui lo sa, anzi, al termine della giornata ci siamo fatti una bella risata.

Come sei arrivata a lavorare nel cinema?
 
Ho iniziato con Antonio Capuano all’Accademia delle belle arti. Dapprima in spettacoli teatrali e poi in alcuni video realizzati dall’Accademia stessa. Infine è arrivato il mio primo film, La guerra di Nario, dove Capuano mi chiamò come volontaria. Da quel momento si è creato un forte legame con lui, che mi ha chiamato anche per altri spettacoli. Devo ammettere che è stato proprio Antonio Capuano a formarmi.

Hai consigli per chi vorrebbe intraprendere questa carriera?
 
Avere voglia di fare è importante, ma fondamentale è avere l’umiltà di sapere di essere ignoranti. Abbiamo sempre da imparare e l’approccio giusto credo sia questo. Ci vuole molta energia e forza ma soprattutto una grande dose di umiltà.

(Intervista a cura di Giorgio Caurso, foto di Tiziana Mastropasqua)



giovedì 4 aprile 2013

Interviste dietro le quinte: Francesca Amitrano, direttrice della fotografia

Intervista alla direttrice della fotografia Francesca Amitrano che, con la semplicità e la simpatia che la contraddistinguono, ci racconta qualcosa in più sul suo ruolo in Take Five e sul dietro le quinte.



Quali sono stati i momenti di maggiore stress, durante il corso delle riprese?

Sicuramente uno dei momenti di maggiore stress è stata la giornata nel Tunnel Borbonico. La location era molto difficile ed il programma intenso. Le attrezzature da portare con noi erano tante e difficili da trasportare… abbiamo dovuto illuminare una zona sotto terra! Quando fai un programma così pieno, e hai tutti questi macchinari, cominci a pensare che non riuscirai mai a fare tutto, ma forse proprio questa paura, unitamente alla consapevolezza di non poter tornare più sulla location, ci ha fatto lavorare molto bene.

C’è qualche scena cui sei legata maggiormente?

Io sono molto legata alla scena finale del film. Senza svelare troppo, sono rimasta molto colpita dalla recitazione di Emanuele (il fattorino n.d.r.). Le inquadrature sono molto belle e frutto di sperimentazioni, perché volevamo fare delle cose un po’ complicate e i mezzi non lo permettevano, quindi abbiamo inventato un modo per rendere al meglio il movimento della camera. Abbiamo provato di tutto, volevamo anche appendere un operatore al soffitto!

Come ti sei trovata a lavorare con la troupe?

Molto bene, anche perché la maggior parte delle persone le conoscevo già. Con qualche elemento nuovo della mia squadra c’è stato qualche problema di comunicazione, ma dopo un po’ si è cominciato a parlare la stessa lingua e tutto è filato liscio. Fondamentale il rapporto con la scenografia e con Guido, perché le luci di scena descrivono l’atmosfera e segnano gli ambienti. Il colore dell’appartamento, il rosso carminio, è fondamentale per la resa fotografica.

Com'era il tuo rapporto con gli attori?

Si è creato un bel rapporto con loro, e la cosa più bella che ho visto è che tutti si sono impegnati tantissimo per fare al meglio il loro lavoro. In più, si avvertiva proprio un grande attenzione ed un gran rispetto anche per tutto ciò che accadeva dietro le quinte. Un buon rapporto con tutti, ma quello che mi è piaciuto di più è stato scoprire il talento di Emanuele, che secondo me è bravissimo.

E con il regista?

Il primo giorno non è cominciato benissimo, non tanto con Guido quanto più in generale, perché le riprese in piscina sono state complicate. La sera stessa mi mandò un messaggio sul cellulare: “Franci corri!” proprio perché avevo passato tutta la giornata a fare di fretta. Alcune riprese sono state complicate e non avevamo un operatore subacqueo, quindi ci abbiamo provato un po’ tutti. Anche io mi sono buttata in acqua. Però non me la sono presa male, perché ero consapevole che non potevo fare altrimenti e che i tempi reali del lavoro non potevano essere differenti.

Avevate mai lavorato insieme?

Abbiamo cominciato insieme con un cortometraggio, Vomero Travel, e ci ha presentato Gaetano Di Vaio. Poi abbiamo fatto insieme Là-bas, quindi ci conoscevamo da prima ed avevamo lavorato insieme a questi progetti.

Ricordi qualche momento divertente, magari qualche episodio imbarazzante accaduto durante le riprese?

Una volta sono inciampata tra le luci durante le riprese nello studio fotografico. Siccome sono un po’ distratta, gli assistenti appena mi vedevano prendere una macchina o una luce – dal momento che non mi piace stare con le braccia incrociate, sul set – mi fermavano subito! Sicuramente per gentilezza e per evitare che facessi sforzi, ma immagino anche perché avessero un po’ paura che mi facessi male.

Infine, come sei arrivata a lavorare nel cinema?

Ho frequentato il centro sperimentale di Roma. Durante la scuola e dopo ho fatto esperienze su set grossi: ho lavorato in Gomorra come volontaria, ad esempio, poi sono andata in Francia contattando persone italiane che già avevano contatti lì. Sono rimasta pochi mesi. Poi ho capito che non volevo fare gavetta in altri ambiti che non fossero la fotografia pura. Ho preferito fare anche progetti più piccoli, ma sempre curando le luci e la fotografia. Ho finito per allenarmi a fare solo quello.

(Intervista a cura di GianPaolo Improta, foto di Tiziana Mastropasqua)

venerdì 29 marzo 2013

Interviste dietro le quinte: Sergio Panariello, aiuto regia


Ecco l’intervista al braccio destro del regista di Take Five, l’aiuto regia Sergio Panariello, che ci racconta la sua esperienza durante.



Quali sono stati i momenti di maggiore stress  durante il corso delle riprese?

In realtà sono state sei settimane di stress, per tutta la durata del film. A parte gli scherzi, il maggiore stress era quando giravamo nei luoghi più complicati, tipo il tunnel borbonico, l’acquedotto dell’Arin e il palazzo della Borsa dove abbiamo anche avuto problemi di elettricità. Quando giri in posti così difficili e che sai che devi per forza completare le riprese nella giornata perché non potrai ritornarci, la pressione per chi lavora aumenta parecchio.  

C’è qualche scena cui sei legato maggiormente?

Non c’è una scena in particolare, sono stati tutti dei bei momenti.
È sempre stata forte la sensazione che tutto funzionava mentre giravamo. Attori, location, tutta la creazione del film andava nella giusta direzione. Per esempio, questa sensazione era molto presente durante la scena di Peppe Lanzetta e Gaetano Di Vaio in barca. Ma ripeto, è stata comunque una percezione generale che si andava rafforzando man mano si costruiva il film.

Come ti sei trovato a lavorare con la troupe?

Più che altro come si è trovata la troupe a lavorare con me! Visto il mio ruolo di coordinare reparti, ero costretto a dover pressare tutti quanti. Però, come succede in ogni film, è sempre un po’ come una battaglia. Quando sto sul set mi trasformo, divento cattivo ma solo perché il mio obiettivo è quello di portare a termine il film, quindi ogni cosa che può ostacolare va affrontato immediatamente.  Però mi sono trovato bene. Ogni cosa ha funzionato nel mondo giusto.

Come era il tuo rapporto con gli attori?

Molto buono con tutti. Il fatto di poter provare prima delle riprese ha creato un rapporto di fiducia e rispetto reciproco per il lavoro che si stava facendo. Loro sapevano che tutte le richieste fatte e i cambiamenti in corso d’opera erano per uno scopo preciso. Ci siamo ritrovati a lavorare in condizioni un po’ difficili rispetto ad alcune location, senza alcuna comodità e quindi a volte ero costretto a pressarli. Però questa cosa veniva recepita bene e non ci sono mai stati incomprensioni o conflitti. Anzi, c’è stato sempre un ottimo rapporto.

E con il regista?

Portare a termine un film è sempre un’avventura. È bello partire dall’inizio. Per Take Five ho collaborato anche in alcune cose della sceneggiatura quando abbiamo fatto il piano di lavorazione. E in tutte le fasi, ogni volta che lavoro con Guido, imparo delle cose, mi arricchisco. Sulle riprese, per esempio, anche se viene fatto un piano di massima, con lui non è proprio una cosa precisa, c’è flessibilità di poter cambiare in corso d’opera. Magari organizzativamente può complicare sul set, ma avere questo tipo di flessibilità è una cosa che porta poi il film alla fine con quel qualcosa in più. Guido ragiona proprio sulla messa in scena, sugli attori e da lì si fa un’idea del punto macchina. È molto bello lavorare con lui proprio perché si fa molte domande.

Avevate mai lavorato insieme?

Ho iniziato ad affiancare Guido dai suoi primi lavori, quindi dal cortometraggio Vomero Travel e poi Là-bas. Però pensa, una volta lui mi ha fatto da operatore su un corto che non ho mai finito. Era prima che iniziasse a fare il regista. Poi mi ha superato...

Come sei arrivato a lavorare nel cinema?

Me lo sto chiednedo ancora. Perché sono finito a lavorare nel cinema? Scherzo. Ho cominciato con un corso per la regia di documentari. Non che fossi particolarmente interessato al genere, ma l’avevo visto come un modo per avvicinarmi al cinema. In realtà poi mi sono piaciuti molto i documentari. Successivamente ho fatto uno stage presso Teatri Uniti e da lì ho conosciuto Nicola Giuliano che mi ha fatto lavorare con Gennaro Fasolino e con Capuano come aiuto regia. 

Hai consigli per chi vorrebbe intraprendere questa carriera?

È serie di coincidenze supportate da una predisposizione e bravura nella velocità di apprendere. Bisogna avere l’umiltà di mettersi a fare qualisasi cosa per capire veramente l’essenza di questo lavoro e quello che c’è dietro la realizzazione di un film. Spesso si arriva a voler fare senza sapere realmente di cosa si stratta e senza avere una visione totale e rispetto di chi lavora. È bene ricordare che la realizzazione di un film è un lavoro collettivo.

(Intervista a cura di Giorgio Caruso, foto di Tiziana Mastropasqua)  

Il "Malamente": l'intervista video a Gaetano Di Vaio

Intervista a cura di Roberta Serretiello.

giovedì 28 marzo 2013

Interviste dietro le quinte: Alessandro Marangolo, attrezzista di scena



Continuano le interviste dietro le quinte alla troupe, reale motore di questa grande macchina chiamata cinema. Questa volta uno tra i più giovani sul set, Alessandro Marangolo, attrezzista di scena, ci racconta la sua esperienza nel mondo della scenografia filmica. 



Come sei arrivato sul set di Take Five?

Tramite Maica Rotondo (caporeparto scenografia n.d.r.) e ci conosciamo perché abbiamo delle amicizie in comune. Lei ha visto alcuni lavori cui avevo preso parte e mi ha chiesto di far parte del team in questa esperienza. Abbiamo iniziato la preparazione, insieme anche a Giuseppe Carbone e Mario Schiano, poi però mi sono distaccato dal reparto per stare sul set.

Sei sicuramente tra i più giovani sul set, ma già molto esperto. Lavori da molto nel cinema?

Si, sono uno dei più giovani sicuramente. Forse della mia stessa età c’è solo Francesco Buonocore, l’elettricista. Ho iniziato molto presto a lavorare, avevo 19 anni, e per prima cosa ho fatto teatro. Ho studiato all’Accademia delle Belle Arti, seguendo il lavoro di una mia professoressa che si occupava di scenografie teatrali, poi ho lavorato per una stagione al Teatro Nuovo nei Quarieri Spagnoli.

E come sei approdato al cinema?

Il primo film è stato Gorbaciòf di Stefano Incerti, dove mi sono anche un po’ imposto perché avrei dovuto lavorare in produzione, ma ho insistito per stare in scenografia! Lino Fiorito, che era il caporeparto, aveva un lavoro che lo impegnava tre giorni, quindi ha insistito perché ci fosse qualcuno sul campo in quel periodo. Poi, però, ha deciso che avrei dovuto seguire tutto il film con lui e quindi sono rimasto.

Poi, altri lavori?

Ho lavorato con alcuni direttori della fotografia come Nicola Pecorini e Luca Bigazzi – che per me è una grande ispirazione sia sul piano professionale che su quello umano, perché da lui ho imparato molto di come ci si comporta con la gente sul set.

E con Lombardi avevi mai lavorato?

Purtroppo non avevo mai avuto modo di conoscere Guido prima di questo film. Me lo ha presentato Maica ma, devo essere onesto, già conoscevo il suo lavoro perché la sua opera prima mi è molto piaciuta. Avevo l’opportunità di andare a lavorare altrove, ma ho deciso di fare lo stesso questo film nonostante i limiti economici e produttivi cui inevitabilmente si va incontro in questo tipo di produzioni. Mi piace molto la sua visione.

Cosa speri per questo film? Cosa credi accadrà quando uscirà nelle sale?

Non ci penso mai a queste cose! Non è il mio primo film, ne ho fatti già un po’, e tendo a non fare mai di certi pensieri perché quello che vedi in scena non è mai totalmente quello che poi vedi sullo schermo. Il montaggio fa molto, e prima di vedere il prodotto finito non mi pronuncio e, ripeto, non ci penso neanche, altrimenti fremerei per vedere il film e non vivrei bene l’esperienza sul set!

(Intervista a cura di GianPaolo Improta, foto di Tiziana Mastropasqua)