Ecco
l’intervista al braccio destro del regista di Take Five, l’aiuto regia Sergio
Panariello, che ci racconta la sua esperienza durante.
Quali sono stati i momenti di maggiore
stress durante il corso delle riprese?
In realtà sono state sei settimane di stress, per tutta la durata del film. A parte gli scherzi, il maggiore stress era quando giravamo nei luoghi più complicati, tipo il tunnel borbonico, l’acquedotto dell’Arin e il palazzo della Borsa dove abbiamo anche avuto problemi di elettricità. Quando giri in posti così difficili e che sai che devi per forza completare le riprese nella giornata perché non potrai ritornarci, la pressione per chi lavora aumenta parecchio.
C’è qualche scena cui sei legato
maggiormente?
Non c’è una scena in particolare, sono stati tutti dei bei momenti.
È sempre stata forte la sensazione che tutto funzionava mentre giravamo. Attori, location, tutta la creazione del film andava nella giusta direzione. Per esempio, questa sensazione era molto presente durante la scena di Peppe Lanzetta e Gaetano Di Vaio in barca. Ma ripeto, è stata comunque una percezione generale che si andava rafforzando man mano si costruiva il film.
Come ti sei trovato a lavorare con la
troupe?
Più che altro come si è trovata la troupe a lavorare con me! Visto il mio ruolo di coordinare reparti, ero costretto a dover pressare tutti quanti. Però, come succede in ogni film, è sempre un po’ come una battaglia. Quando sto sul set mi trasformo, divento cattivo ma solo perché il mio obiettivo è quello di portare a termine il film, quindi ogni cosa che può ostacolare va affrontato immediatamente. Però mi sono trovato bene. Ogni cosa ha funzionato nel mondo giusto.
Come era il tuo rapporto con gli
attori?
Molto buono con tutti. Il fatto di poter provare prima delle riprese ha creato un rapporto di fiducia e rispetto reciproco per il lavoro che si stava facendo. Loro sapevano che tutte le richieste fatte e i cambiamenti in corso d’opera erano per uno scopo preciso. Ci siamo ritrovati a lavorare in condizioni un po’ difficili rispetto ad alcune location, senza alcuna comodità e quindi a volte ero costretto a pressarli. Però questa cosa veniva recepita bene e non ci sono mai stati incomprensioni o conflitti. Anzi, c’è stato sempre un ottimo rapporto.
E con il regista?
Portare a termine un film è sempre un’avventura. È bello partire dall’inizio. Per Take Five ho collaborato anche in alcune cose della sceneggiatura quando abbiamo fatto il piano di lavorazione. E in tutte le fasi, ogni volta che lavoro con Guido, imparo delle cose, mi arricchisco. Sulle riprese, per esempio, anche se viene fatto un piano di massima, con lui non è proprio una cosa precisa, c’è flessibilità di poter cambiare in corso d’opera. Magari organizzativamente può complicare sul set, ma avere questo tipo di flessibilità è una cosa che porta poi il film alla fine con quel qualcosa in più. Guido ragiona proprio sulla messa in scena, sugli attori e da lì si fa un’idea del punto macchina. È molto bello lavorare con lui proprio perché si fa molte domande.
Avevate mai lavorato insieme?
Ho iniziato ad affiancare Guido dai suoi primi lavori, quindi dal cortometraggio Vomero Travel e poi Là-bas. Però pensa, una volta lui mi ha fatto da operatore su un corto che non ho mai finito. Era prima che iniziasse a fare il regista. Poi mi ha superato...
Come sei arrivato a lavorare nel
cinema?
Me lo sto chiednedo ancora. Perché sono finito a lavorare nel cinema? Scherzo. Ho cominciato con un corso per la regia di documentari. Non che fossi particolarmente interessato al genere, ma l’avevo visto come un modo per avvicinarmi al cinema. In realtà poi mi sono piaciuti molto i documentari. Successivamente ho fatto uno stage presso Teatri Uniti e da lì ho conosciuto Nicola Giuliano che mi ha fatto lavorare con Gennaro Fasolino e con Capuano come aiuto regia.
Hai consigli per chi vorrebbe
intraprendere questa carriera?
È serie di coincidenze supportate da una predisposizione e bravura nella velocità di apprendere. Bisogna avere l’umiltà di mettersi a fare qualisasi cosa per capire veramente l’essenza di questo lavoro e quello che c’è dietro la realizzazione di un film. Spesso si arriva a voler fare senza sapere realmente di cosa si stratta e senza avere una visione totale e rispetto di chi lavora. È bene ricordare che la realizzazione di un film è un lavoro collettivo.
(Intervista
a cura di Giorgio Caruso, foto di Tiziana Mastropasqua)